Dibattito Bush-Kerry
SPECIALE ELEZIONI USA
Kerry uccide Bush, sondaggi impietosi
PuntoCom, sabato 2 ottobre 2004
L'IMBARAZZO È STATO PALPABILE fra i commentatori tv americani subito dopo la fine del dibattito. John Kerry ha vinto così nettamente, che qualsiasi ricamo sulla sconfitta di George Bush junior sembrava un impietoso infierire. George Stephanopoulos della Abc, conduttore del talk show politico della domenica mattina sul network della Disney, aveva paura di apparire per quello che è, cioè l'ex addetto stampa di Bill Clinton, e quindi si sforzava di imputare la disastrosa performance del presidente al suo "nervosismo". Alla "rabbia" di Bush ha dovuto ricorrere anche Tony Snow, lo schieratissimo anchorman filorepubblicano di Fox News: «Purtroppo mentre Kerry parlava l'altra telecamera inquadrava un uomo che non sapeva mascherare il suo disappunto».
Fortunatamente per tutti gli impettiti ma impediti anchormen (da Tom Brokaw a Walter Jennings) paurosi di apparire "partisan" azzardando commenti personali, soprattutto dopo l'infortunio di Dan Rather della Cbs, un quarto d'ora dopo la fine del dibattito sono usciti i primi sondaggi. Quello Gallup/Cnn ha dato Kerry vincente 53 a 37, quello Abc 45 a 36 e quello Cbs (condotto via Internet su 200 indecisi) 43 a 28. Si tratta di sondaggi dalla dubbia validità scientifica, soprattutto quello Cbs, ma sono serviti a "sbloccare" i commentatori sbigottiti per la povera prestazione di Bush, che da quel momento potevano nascondersi dietro a "dati di fatto".
Secondo Dick Morris, ex consulente di Clinton, Bush è stato "ripetitivo, debole, spaesato. Salvo solo gli ultimi due minuti, gli altri 88 sono stati disastrosi". Morris però non salva neanche Kerry: «Come fa a dire contemporaneamente che la guerra in Iraq è stata completamente sbagliata, ma che con lui può essere vinta? E come può pensare di affrontare la crisi atomica con la Corea del Nord senza coinvolgere la Cina?».
Peggy Noonan, la leggendaria speechwriter di Ronald Reagan, ammette che Kerry era il più concentrato, e che «martellava incessantemente. Pero' anche quattro anni fa Bush contro Gore apparve meno agile dialetticamente, ma degno di rispetto
e anche di simpatia perché rappresentava il cittadino qualunque». Il cittadino un po' ignorante che dopo quattro anni di presidenza ancora si impappina, sbagliando il nome del capo cinese ("Jiang Zimen" invece che "Jang Zemin"), mentre Kerry ha brillato con frasi tipo «Invadere l'Iraq per combattere Al Qaeda è come se avessimo invaso il Messico per combattere i giapponesi dopo Pearl Harbor». Ma il sondaggio Gallup/Cnn conferma l'impressione della Noonan: quanto a simpatia Bush ha battuto Kerry 48 a 41.
Il senatore repubblicano John McCain ha dovuto ammettere con Larry King della Cnn che «Kerry ne è uscito bene, anche se non ha dissipato le sue contraddizioni sull'Iraq». L'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, pure lui un supporter di Bush, è andato "in partibus infidelium", cioè ospite del talk show satirico di Jon Stewart (una specie di Daniele Luttazzi), e ha detto che «Bush ha parlato al popolo americano, mentre Kerry ha tenuto una conferenza». Per il generale Alexander Haig, ex segretario di stato di Reagan, c'è stato "un pareggio". Secondo un altro commentatore conservatore, Robert Novak, per ribaltare i sondaggi negativi Kerry in questo dibattito avrebbe dovuto assestare un colpo da ko, ma non c'è riuscito. Insomma, ha vinto ma non abbastanza.
In effetti, questo primo scontro ha regalato ai due contendenti l'audience più ampia di tutta la campagna elettorale: secondo il Los Angeles Times l'ha seguito l'88 per cento dei possibili votanti (cioè la metà degli statunitensi, perchè gli altri, quelli che si astengono, i dibattiti non li guardano proprio), e uno su cinque ha detto che il dibattito influirà sul proprio voto. Il neoconservatore John Podhoretz prende in giro John Kerry che ha chiamato l'ex quartiere generale del Kgb a Mosca "Treblinka" (come il lager nazista) invece di Lubianka. «E poi non è vero che durante la Convenzione repubblicana a New York un mese fa la metropolitana ha dovuto essere chiusa, come ha detto il candidato democratico», aggiunge. «Comunque il confronto è stato noioso», accusa, «e il fattore noia gioca a sfavore di Kerry. A Bush per vincere basta rassicurare la propria base, è lo sfidante che dovrebbe attaccare e far gol. Col pareggio passa il presidente». «No, Kerry ha vinto ai punti», ammette un altro neocon, Bill Kristol, «ma ora bisogna vedere se questo gli basterà per recuperare lo svantaggio del 5-6 per cento che tutti i sondaggi delle ultime settimane gli attribuivano. Io non credo, penso solo che avremo una lotta all'ultimo voto».
Il New York Times scrive nel suo principale editoriale di ieri che Kerry è apparso più "presidenziale", mentre Bush sembrava «petulante e ripetitivo: lui si rivolge al cuore, Kerry al cervello». In effetti, qualcuno ha calcolato che il presidente ha pronunciato sette volte la frase
"it's a hard work" (è un duro lavoro) per giustificare il perdurante casino in Iraq, e che ha accusato ben sei volte Kerry di mandare "il segnale sbagliato" ai terroristi e agli alleati, quando parla di un ritiro da Bagdad. Alessandra Stanley, critica televisiva del quotidiano newyorkese, rileva che «il linguaggio del corpo mostrato da Bush mentre parlava Kerry era quello stizzoso di un pretendente alla presidenza, non di un presidente sicuro di sé».
Il quotidiano New York Sun nota come Kerry abbia cercato di appropriarsi dell'eredità del presidente Bush senior quando lo ha lodato
per non aver invaso l'Iraq nel 1991, e perfino di quella di Reagan, citato positivamente. Secondo Dan Balz del Washington Post «raramente le differenze fra due uomini, e fra le loro proposte per il Paese, sono state espresse più chiaramente e appassionatamente».
BARBARA RAGAZZON
Kerry uccide Bush, sondaggi impietosi
PuntoCom, sabato 2 ottobre 2004
L'IMBARAZZO È STATO PALPABILE fra i commentatori tv americani subito dopo la fine del dibattito. John Kerry ha vinto così nettamente, che qualsiasi ricamo sulla sconfitta di George Bush junior sembrava un impietoso infierire. George Stephanopoulos della Abc, conduttore del talk show politico della domenica mattina sul network della Disney, aveva paura di apparire per quello che è, cioè l'ex addetto stampa di Bill Clinton, e quindi si sforzava di imputare la disastrosa performance del presidente al suo "nervosismo". Alla "rabbia" di Bush ha dovuto ricorrere anche Tony Snow, lo schieratissimo anchorman filorepubblicano di Fox News: «Purtroppo mentre Kerry parlava l'altra telecamera inquadrava un uomo che non sapeva mascherare il suo disappunto».
Fortunatamente per tutti gli impettiti ma impediti anchormen (da Tom Brokaw a Walter Jennings) paurosi di apparire "partisan" azzardando commenti personali, soprattutto dopo l'infortunio di Dan Rather della Cbs, un quarto d'ora dopo la fine del dibattito sono usciti i primi sondaggi. Quello Gallup/Cnn ha dato Kerry vincente 53 a 37, quello Abc 45 a 36 e quello Cbs (condotto via Internet su 200 indecisi) 43 a 28. Si tratta di sondaggi dalla dubbia validità scientifica, soprattutto quello Cbs, ma sono serviti a "sbloccare" i commentatori sbigottiti per la povera prestazione di Bush, che da quel momento potevano nascondersi dietro a "dati di fatto".
Secondo Dick Morris, ex consulente di Clinton, Bush è stato "ripetitivo, debole, spaesato. Salvo solo gli ultimi due minuti, gli altri 88 sono stati disastrosi". Morris però non salva neanche Kerry: «Come fa a dire contemporaneamente che la guerra in Iraq è stata completamente sbagliata, ma che con lui può essere vinta? E come può pensare di affrontare la crisi atomica con la Corea del Nord senza coinvolgere la Cina?».
Peggy Noonan, la leggendaria speechwriter di Ronald Reagan, ammette che Kerry era il più concentrato, e che «martellava incessantemente. Pero' anche quattro anni fa Bush contro Gore apparve meno agile dialetticamente, ma degno di rispetto
e anche di simpatia perché rappresentava il cittadino qualunque». Il cittadino un po' ignorante che dopo quattro anni di presidenza ancora si impappina, sbagliando il nome del capo cinese ("Jiang Zimen" invece che "Jang Zemin"), mentre Kerry ha brillato con frasi tipo «Invadere l'Iraq per combattere Al Qaeda è come se avessimo invaso il Messico per combattere i giapponesi dopo Pearl Harbor». Ma il sondaggio Gallup/Cnn conferma l'impressione della Noonan: quanto a simpatia Bush ha battuto Kerry 48 a 41.
Il senatore repubblicano John McCain ha dovuto ammettere con Larry King della Cnn che «Kerry ne è uscito bene, anche se non ha dissipato le sue contraddizioni sull'Iraq». L'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, pure lui un supporter di Bush, è andato "in partibus infidelium", cioè ospite del talk show satirico di Jon Stewart (una specie di Daniele Luttazzi), e ha detto che «Bush ha parlato al popolo americano, mentre Kerry ha tenuto una conferenza». Per il generale Alexander Haig, ex segretario di stato di Reagan, c'è stato "un pareggio". Secondo un altro commentatore conservatore, Robert Novak, per ribaltare i sondaggi negativi Kerry in questo dibattito avrebbe dovuto assestare un colpo da ko, ma non c'è riuscito. Insomma, ha vinto ma non abbastanza.
In effetti, questo primo scontro ha regalato ai due contendenti l'audience più ampia di tutta la campagna elettorale: secondo il Los Angeles Times l'ha seguito l'88 per cento dei possibili votanti (cioè la metà degli statunitensi, perchè gli altri, quelli che si astengono, i dibattiti non li guardano proprio), e uno su cinque ha detto che il dibattito influirà sul proprio voto. Il neoconservatore John Podhoretz prende in giro John Kerry che ha chiamato l'ex quartiere generale del Kgb a Mosca "Treblinka" (come il lager nazista) invece di Lubianka. «E poi non è vero che durante la Convenzione repubblicana a New York un mese fa la metropolitana ha dovuto essere chiusa, come ha detto il candidato democratico», aggiunge. «Comunque il confronto è stato noioso», accusa, «e il fattore noia gioca a sfavore di Kerry. A Bush per vincere basta rassicurare la propria base, è lo sfidante che dovrebbe attaccare e far gol. Col pareggio passa il presidente». «No, Kerry ha vinto ai punti», ammette un altro neocon, Bill Kristol, «ma ora bisogna vedere se questo gli basterà per recuperare lo svantaggio del 5-6 per cento che tutti i sondaggi delle ultime settimane gli attribuivano. Io non credo, penso solo che avremo una lotta all'ultimo voto».
Il New York Times scrive nel suo principale editoriale di ieri che Kerry è apparso più "presidenziale", mentre Bush sembrava «petulante e ripetitivo: lui si rivolge al cuore, Kerry al cervello». In effetti, qualcuno ha calcolato che il presidente ha pronunciato sette volte la frase
"it's a hard work" (è un duro lavoro) per giustificare il perdurante casino in Iraq, e che ha accusato ben sei volte Kerry di mandare "il segnale sbagliato" ai terroristi e agli alleati, quando parla di un ritiro da Bagdad. Alessandra Stanley, critica televisiva del quotidiano newyorkese, rileva che «il linguaggio del corpo mostrato da Bush mentre parlava Kerry era quello stizzoso di un pretendente alla presidenza, non di un presidente sicuro di sé».
Il quotidiano New York Sun nota come Kerry abbia cercato di appropriarsi dell'eredità del presidente Bush senior quando lo ha lodato
per non aver invaso l'Iraq nel 1991, e perfino di quella di Reagan, citato positivamente. Secondo Dan Balz del Washington Post «raramente le differenze fra due uomini, e fra le loro proposte per il Paese, sono state espresse più chiaramente e appassionatamente».
BARBARA RAGAZZON
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