Direttore New York Sun
LA DESTRA AL CAVIALE NEL CUORE DELLA GRANDE MELA
quotidiano PuntoCom, giovedi 27 ottobre 2005, pag.4
Intervista a Ira Stoll, direttore del New York Sun, quality paper dei repubblicani di Manhattan, un cugino del Foglio
«Autofagia»: Ira Stoll se la ride, nel suo ufficio di direttore del New York Sun. Così definisce la tempesta che sta scuotendo il New York Times: la sua giornalista star Judith Miller passata in pochi giorni dal podio di eroina della libertà di stampa (tre mesi di prigione per non aver voluto rivelare il nome di una gola profonda) alla gogna di "megafono dei bushiani", e i colleghi che la accusano di aver fatto propaganda per la guerra in Iraq chiedendone quasi il licenziamento. Stoll, 32 anni, guida il "concorrente" del Times, se così si può definire un quotidiano che vende 40mila copie rispetto al gigante da un milione e centomila. E che neppure esce la domenica, quando invece il Times onusto di ogni possibile supplemento pesa due chili.
Ira Stoll, enfant prodige del giornalismo di destra newyorkese e americano, dirige il Sun dall'aprile 2002, quando l'editore Seth Lipsky fece resuscitare la gloriosa testata chiusa nel 1950 dopo 120 anni di onorata attività. Michael Keaton recitava la parte di un caporedattore del Sun nel film "Cronisti d'assalto" (1994), con Glenn Close giornalista cinica e carrierista, e Robert Duvall direttore. Incontriamo il giovane Stoll nella sede del Sun a Chambers Street, al confine fra Tribeca e il quartiere finanziario di Wall Street. Un salone al secondo piano, open space con le scrivanie per i 27 fra giornalisti, grafici e fotografi a tempo pieno che confezionano 20-24 pagine al giorno. Ci sono poi quattro corrispondenti full time nella redazione di Washington, uno a San Francisco, e due columnist fissi che coprono Europa e Israele.
«Quattro anni fa ero vice di Seth al settimanale ebraico di New York 'Forward'», racconta Stoll, «ed entrambi eravamo convinti che in questa città ci fosse spazio per un quotidiano di qualità conservatore, accanto al Times che è schierato a sinistra. Così mettemmo assieme un business plan, cercando investitori. Che trovammo, e la sera del 10 settembre 2001 sembrava fatta. Un amico telefonò a Seth per congratularsi, ma lui gli rispose di aspettare il mattino dopo, perchè i versamenti del capitale per costituire la società non erano ancora materialmente avvenuti. L'11 settembre accadde quel che accadde, e tutto slittò di sette mesi».
La redazione del Sun dista poche centinaia di metri da Ground Zero, e il vento patriottico dopo l'attacco alle Due Torri ha spinto anche le vele del neonato quotidiano. «New York è una città dominata storicamente dal partito democratico, che nel quartiere di Manhattan supera l'80 per cento dei voti», ammette Stoll. «Però a Queens e a Staten Island ci sono parecchi repubblicani, i quali come nel resto del Paese sono più religiosi, desiderano meno tasse, vogliono una difesa forte, vogliono essere aggressivi contro il terrorismo, e chiedono voucher per le scuole private. Ci sono molti ebrei ortodossi a Brooklyn, e molti cattolici conservatori di origine italiana, irlandese e ora anche latinoamericana a Queens e nel Bronx. Nel 2000 mezzo milione di newyorkesi votò Bush, l'anno scorso sono aumentati di 50mila. Insomma, lo spazio per noi c'è. E infatti siamo passati dalle 17mila copie iniziali alle attuali 40mila. Siamo piccoli ma influenti. Ci leggono tutti i giornalisti, siamo ampiamente citati nei blog e in tv. Scriviamo per lettori intelligenti e coltivati».
Come il Foglio in Italia, insomma. «Ah, conosco Giuliano Ferrara e Christian Rocca, che copre l'America per loro. Sì, per quel che ne so il paragone è azzeccato. Noi però siamo anche molto radicati nella città di New York, abbiamo una cronaca locale di due pagine. Puntiamo parecchio su arte e cultura, cercando di offrire sempre critiche di alta qualità». In effetti, le pagine su libri, musica, musei e gastronomia del Sun sono universalmente apprezzate, al di là degli steccati politici. Nel giorno della nostra intervista, per esempio, la foto centrale in prima pagina riguardava la grande mostra di Egon Schiele aperta alla Neue Galerie, il sofisticato museo austrotedesco sulla Quinta Avenue, a metà strada fra il Metropolitan e il Guggenheim. E una redattrice letteraria del Sun, la validissima e italofona Rachel Donadio, è passata un anno fa all'inserto libri del New York Times. Difficile immaginare che accada una cosa del genere in Italia: un giornalista del Foglio assunto da Repubblica...
Per il resto, con il Times è guerra aperta. Ira Stoll si è fatto le ossa proprio criticando inesorabilmente il quotidiano più importante d'America con uno dei primi blog, che aveva battezzato "smartertimes" ("un Times più intelligente"). E anche oggi le punzecchiature sono la ragione di vivere giornaliera del Sun. Il quale ha al suo attivo pure degli scoop sull'Onu, dove il corrispondente fisso Benni Avni fa vedere i sorci verdi alla burocrazia interna sullo scandalo Oil-for-Food.
Partito con 15 milioni di dollari investiti da undici finanzieri guidati da Roger Hertog, Bruce Kovner, Conrad Black e Thomas Tisch (capo dell'impero Loews), il Sun non ha ancora raggiunto il pareggio. «C'eravamo dati 5-6 anni di tempo, siamo sulla buona strada», assicura Stoll. Il problema è soprattutto la pubblicità, che oggi rappresenta soltanto il 40 per cento delle entrate. La proporzione con gli introiti da edicola dovrà ribaltarsi, e l'advertisement raggiungere il 60%. Il giornale ha avuto bisogno di essere ricapitalizzato l'anno scorso con una sostanziosa iniezione di altri 40 milioni, per coprire le perdite che erano di un milione al mese.
Qualche azionista ha storto il naso, ma per molti di loro si tratta di un investimento politico a perdere. Hertog, per esempio, vicepresidente di Alliance Capital Management, è un grande finanziatore (in detrazione fiscale) dei due principali think tank neocon, il Manhattan Institute a New York e l'Aei (American Enterprise Institute) a Washington, oltre che dello Shalem Center in Israele. Kovner, presidente della Caxton Corporation, è anche presidente dell'Aei. L'alleanza fra i repubblicani di Wall Street e la destra intellettuale è suggellata dalla presenza prestigiosa, fra i columnist, di William Buckley, estroso liberista e libertario reaganiano della prima ora (vuole il libero mercato, ma anche la droga legale).
Il Sun non è l'unico quotidiano di destra a New York: c'è anche il tabloid New York Post, che il proprietario Rupert Murdoch svende a 25 cent. Tuttavia il prezzo sottocosto uguale a quello del Sun (il Times è a un dollaro, l'altro tabloid Daily News a 50 cent) rappresenta l'unico punto di contatto fra i due giornali, che hanno target opposti. Curiosa, piuttosto, l'abbondanza di quotati commentatori neocon (John Podhoretz, Amir Taheri) con cui il Post (700mila copie, come il Daily News) adorna le proprie pagine zeppe di gossip e cronaca nera. Sono firme che offrono ragionamenti complicati, più adatti all'élite del Sun che a proletari di recente immigrazione.
Metà dei lettori del Sun sono ebrei, anche se quelli newyorkesi sono tradizionalmente di sinistra: «Ricchi e liberal, vivono come episcopali ma votano come portoricani», scherza Stoll, «però fra i nostri giovani ormai si è persa la memoria e la gratitudine per il presidente democratico Roosevelt che sconfisse la Germania nazista». Fra una settimana New York vota per il sindaco, ed è scontata la vittoria del miliardario repubblicano ebreo Michael Bloomberg contro il democratico portoricano del Bronx Fernando Ferrer. Questa volta, contrariamente a quattro anni fa, anche il New York Times appoggia Bloomberg. Il quale ha comprato di tasca propria ben cento milioni di dollari di spot tv, battendo il record mondiale di 78 milioni stabilito nel 2001. Nessun singolo candidato nella storia ha mai speso così tanto per farsi eleggere. «E' un paradosso che la New York democratica voti sindaci e governatori repubblicani come Rockefeller, Bloomberg, Giuliani e Pataki», nota Stoll, «ma è anche vero che si tratta di repubblicani liberal, pro-scelta della donna sull'aborto e pro-gay».
Stoll, invece, su alcune questioni non transige. Il crimine, per esempio. I reati sono incredibilmente diminuiti, oggi New York è la città più sicura degli Stati Uniti, e il trend continua: «Merito delle carceri», sostiene sbrigativo il direttore del New York Sun, «ne abbiamo costruite molte e ci abbiamo messo tutti i delinquenti. Che quindi non possono più nuocere. Invece il New York Times sostiene l'esatto contrario: siccome il crimine diminuisce, dovremmo smettere di costruire prigioni». Anche sulla politica estera di Bush, nonostante il disastro in Iraq, Stoll tiene duro. Sospettiamo che potrebbe ammorbidirsi soltanto in un caso: che il detestato New York Times improvvisamente cominci ad appoggiare il presidente. Allora, forse, lui si metterebbe a sostenere il contrario del concorrente.
Barbara Ragazzon
quotidiano PuntoCom, giovedi 27 ottobre 2005, pag.4
Intervista a Ira Stoll, direttore del New York Sun, quality paper dei repubblicani di Manhattan, un cugino del Foglio
«Autofagia»: Ira Stoll se la ride, nel suo ufficio di direttore del New York Sun. Così definisce la tempesta che sta scuotendo il New York Times: la sua giornalista star Judith Miller passata in pochi giorni dal podio di eroina della libertà di stampa (tre mesi di prigione per non aver voluto rivelare il nome di una gola profonda) alla gogna di "megafono dei bushiani", e i colleghi che la accusano di aver fatto propaganda per la guerra in Iraq chiedendone quasi il licenziamento. Stoll, 32 anni, guida il "concorrente" del Times, se così si può definire un quotidiano che vende 40mila copie rispetto al gigante da un milione e centomila. E che neppure esce la domenica, quando invece il Times onusto di ogni possibile supplemento pesa due chili.
Ira Stoll, enfant prodige del giornalismo di destra newyorkese e americano, dirige il Sun dall'aprile 2002, quando l'editore Seth Lipsky fece resuscitare la gloriosa testata chiusa nel 1950 dopo 120 anni di onorata attività. Michael Keaton recitava la parte di un caporedattore del Sun nel film "Cronisti d'assalto" (1994), con Glenn Close giornalista cinica e carrierista, e Robert Duvall direttore. Incontriamo il giovane Stoll nella sede del Sun a Chambers Street, al confine fra Tribeca e il quartiere finanziario di Wall Street. Un salone al secondo piano, open space con le scrivanie per i 27 fra giornalisti, grafici e fotografi a tempo pieno che confezionano 20-24 pagine al giorno. Ci sono poi quattro corrispondenti full time nella redazione di Washington, uno a San Francisco, e due columnist fissi che coprono Europa e Israele.
«Quattro anni fa ero vice di Seth al settimanale ebraico di New York 'Forward'», racconta Stoll, «ed entrambi eravamo convinti che in questa città ci fosse spazio per un quotidiano di qualità conservatore, accanto al Times che è schierato a sinistra. Così mettemmo assieme un business plan, cercando investitori. Che trovammo, e la sera del 10 settembre 2001 sembrava fatta. Un amico telefonò a Seth per congratularsi, ma lui gli rispose di aspettare il mattino dopo, perchè i versamenti del capitale per costituire la società non erano ancora materialmente avvenuti. L'11 settembre accadde quel che accadde, e tutto slittò di sette mesi».
La redazione del Sun dista poche centinaia di metri da Ground Zero, e il vento patriottico dopo l'attacco alle Due Torri ha spinto anche le vele del neonato quotidiano. «New York è una città dominata storicamente dal partito democratico, che nel quartiere di Manhattan supera l'80 per cento dei voti», ammette Stoll. «Però a Queens e a Staten Island ci sono parecchi repubblicani, i quali come nel resto del Paese sono più religiosi, desiderano meno tasse, vogliono una difesa forte, vogliono essere aggressivi contro il terrorismo, e chiedono voucher per le scuole private. Ci sono molti ebrei ortodossi a Brooklyn, e molti cattolici conservatori di origine italiana, irlandese e ora anche latinoamericana a Queens e nel Bronx. Nel 2000 mezzo milione di newyorkesi votò Bush, l'anno scorso sono aumentati di 50mila. Insomma, lo spazio per noi c'è. E infatti siamo passati dalle 17mila copie iniziali alle attuali 40mila. Siamo piccoli ma influenti. Ci leggono tutti i giornalisti, siamo ampiamente citati nei blog e in tv. Scriviamo per lettori intelligenti e coltivati».
Come il Foglio in Italia, insomma. «Ah, conosco Giuliano Ferrara e Christian Rocca, che copre l'America per loro. Sì, per quel che ne so il paragone è azzeccato. Noi però siamo anche molto radicati nella città di New York, abbiamo una cronaca locale di due pagine. Puntiamo parecchio su arte e cultura, cercando di offrire sempre critiche di alta qualità». In effetti, le pagine su libri, musica, musei e gastronomia del Sun sono universalmente apprezzate, al di là degli steccati politici. Nel giorno della nostra intervista, per esempio, la foto centrale in prima pagina riguardava la grande mostra di Egon Schiele aperta alla Neue Galerie, il sofisticato museo austrotedesco sulla Quinta Avenue, a metà strada fra il Metropolitan e il Guggenheim. E una redattrice letteraria del Sun, la validissima e italofona Rachel Donadio, è passata un anno fa all'inserto libri del New York Times. Difficile immaginare che accada una cosa del genere in Italia: un giornalista del Foglio assunto da Repubblica...
Per il resto, con il Times è guerra aperta. Ira Stoll si è fatto le ossa proprio criticando inesorabilmente il quotidiano più importante d'America con uno dei primi blog, che aveva battezzato "smartertimes" ("un Times più intelligente"). E anche oggi le punzecchiature sono la ragione di vivere giornaliera del Sun. Il quale ha al suo attivo pure degli scoop sull'Onu, dove il corrispondente fisso Benni Avni fa vedere i sorci verdi alla burocrazia interna sullo scandalo Oil-for-Food.
Partito con 15 milioni di dollari investiti da undici finanzieri guidati da Roger Hertog, Bruce Kovner, Conrad Black e Thomas Tisch (capo dell'impero Loews), il Sun non ha ancora raggiunto il pareggio. «C'eravamo dati 5-6 anni di tempo, siamo sulla buona strada», assicura Stoll. Il problema è soprattutto la pubblicità, che oggi rappresenta soltanto il 40 per cento delle entrate. La proporzione con gli introiti da edicola dovrà ribaltarsi, e l'advertisement raggiungere il 60%. Il giornale ha avuto bisogno di essere ricapitalizzato l'anno scorso con una sostanziosa iniezione di altri 40 milioni, per coprire le perdite che erano di un milione al mese.
Qualche azionista ha storto il naso, ma per molti di loro si tratta di un investimento politico a perdere. Hertog, per esempio, vicepresidente di Alliance Capital Management, è un grande finanziatore (in detrazione fiscale) dei due principali think tank neocon, il Manhattan Institute a New York e l'Aei (American Enterprise Institute) a Washington, oltre che dello Shalem Center in Israele. Kovner, presidente della Caxton Corporation, è anche presidente dell'Aei. L'alleanza fra i repubblicani di Wall Street e la destra intellettuale è suggellata dalla presenza prestigiosa, fra i columnist, di William Buckley, estroso liberista e libertario reaganiano della prima ora (vuole il libero mercato, ma anche la droga legale).
Il Sun non è l'unico quotidiano di destra a New York: c'è anche il tabloid New York Post, che il proprietario Rupert Murdoch svende a 25 cent. Tuttavia il prezzo sottocosto uguale a quello del Sun (il Times è a un dollaro, l'altro tabloid Daily News a 50 cent) rappresenta l'unico punto di contatto fra i due giornali, che hanno target opposti. Curiosa, piuttosto, l'abbondanza di quotati commentatori neocon (John Podhoretz, Amir Taheri) con cui il Post (700mila copie, come il Daily News) adorna le proprie pagine zeppe di gossip e cronaca nera. Sono firme che offrono ragionamenti complicati, più adatti all'élite del Sun che a proletari di recente immigrazione.
Metà dei lettori del Sun sono ebrei, anche se quelli newyorkesi sono tradizionalmente di sinistra: «Ricchi e liberal, vivono come episcopali ma votano come portoricani», scherza Stoll, «però fra i nostri giovani ormai si è persa la memoria e la gratitudine per il presidente democratico Roosevelt che sconfisse la Germania nazista». Fra una settimana New York vota per il sindaco, ed è scontata la vittoria del miliardario repubblicano ebreo Michael Bloomberg contro il democratico portoricano del Bronx Fernando Ferrer. Questa volta, contrariamente a quattro anni fa, anche il New York Times appoggia Bloomberg. Il quale ha comprato di tasca propria ben cento milioni di dollari di spot tv, battendo il record mondiale di 78 milioni stabilito nel 2001. Nessun singolo candidato nella storia ha mai speso così tanto per farsi eleggere. «E' un paradosso che la New York democratica voti sindaci e governatori repubblicani come Rockefeller, Bloomberg, Giuliani e Pataki», nota Stoll, «ma è anche vero che si tratta di repubblicani liberal, pro-scelta della donna sull'aborto e pro-gay».
Stoll, invece, su alcune questioni non transige. Il crimine, per esempio. I reati sono incredibilmente diminuiti, oggi New York è la città più sicura degli Stati Uniti, e il trend continua: «Merito delle carceri», sostiene sbrigativo il direttore del New York Sun, «ne abbiamo costruite molte e ci abbiamo messo tutti i delinquenti. Che quindi non possono più nuocere. Invece il New York Times sostiene l'esatto contrario: siccome il crimine diminuisce, dovremmo smettere di costruire prigioni». Anche sulla politica estera di Bush, nonostante il disastro in Iraq, Stoll tiene duro. Sospettiamo che potrebbe ammorbidirsi soltanto in un caso: che il detestato New York Times improvvisamente cominci ad appoggiare il presidente. Allora, forse, lui si metterebbe a sostenere il contrario del concorrente.
Barbara Ragazzon