Friday, October 28, 2005

Direttore New York Sun

LA DESTRA AL CAVIALE NEL CUORE DELLA GRANDE MELA

quotidiano PuntoCom, giovedi 27 ottobre 2005, pag.4

Intervista a Ira Stoll, direttore del New York Sun, quality paper dei repubblicani di Manhattan, un cugino del Foglio


«Autofagia»: Ira Stoll se la ride, nel suo ufficio di direttore del New York Sun. Così definisce la tempesta che sta scuotendo il New York Times: la sua giornalista star Judith Miller passata in pochi giorni dal podio di eroina della libertà di stampa (tre mesi di prigione per non aver voluto rivelare il nome di una gola profonda) alla gogna di "megafono dei bushiani", e i colleghi che la accusano di aver fatto propaganda per la guerra in Iraq chiedendone quasi il licenziamento. Stoll, 32 anni, guida il "concorrente" del Times, se così si può definire un quotidiano che vende 40mila copie rispetto al gigante da un milione e centomila. E che neppure esce la domenica, quando invece il Times onusto di ogni possibile supplemento pesa due chili.

Ira Stoll, enfant prodige del giornalismo di destra newyorkese e americano, dirige il Sun dall'aprile 2002, quando l'editore Seth Lipsky fece resuscitare la gloriosa testata chiusa nel 1950 dopo 120 anni di onorata attività. Michael Keaton recitava la parte di un caporedattore del Sun nel film "Cronisti d'assalto" (1994), con Glenn Close giornalista cinica e carrierista, e Robert Duvall direttore. Incontriamo il giovane Stoll nella sede del Sun a Chambers Street, al confine fra Tribeca e il quartiere finanziario di Wall Street. Un salone al secondo piano, open space con le scrivanie per i 27 fra giornalisti, grafici e fotografi a tempo pieno che confezionano 20-24 pagine al giorno. Ci sono poi quattro corrispondenti full time nella redazione di Washington, uno a San Francisco, e due columnist fissi che coprono Europa e Israele.

«Quattro anni fa ero vice di Seth al settimanale ebraico di New York 'Forward'», racconta Stoll, «ed entrambi eravamo convinti che in questa città ci fosse spazio per un quotidiano di qualità conservatore, accanto al Times che è schierato a sinistra. Così mettemmo assieme un business plan, cercando investitori. Che trovammo, e la sera del 10 settembre 2001 sembrava fatta. Un amico telefonò a Seth per congratularsi, ma lui gli rispose di aspettare il mattino dopo, perchè i versamenti del capitale per costituire la società non erano ancora materialmente avvenuti. L'11 settembre accadde quel che accadde, e tutto slittò di sette mesi».

La redazione del Sun dista poche centinaia di metri da Ground Zero, e il vento patriottico dopo l'attacco alle Due Torri ha spinto anche le vele del neonato quotidiano. «New York è una città dominata storicamente dal partito democratico, che nel quartiere di Manhattan supera l'80 per cento dei voti», ammette Stoll. «Però a Queens e a Staten Island ci sono parecchi repubblicani, i quali come nel resto del Paese sono più religiosi, desiderano meno tasse, vogliono una difesa forte, vogliono essere aggressivi contro il terrorismo, e chiedono voucher per le scuole private. Ci sono molti ebrei ortodossi a Brooklyn, e molti cattolici conservatori di origine italiana, irlandese e ora anche latinoamericana a Queens e nel Bronx. Nel 2000 mezzo milione di newyorkesi votò Bush, l'anno scorso sono aumentati di 50mila. Insomma, lo spazio per noi c'è. E infatti siamo passati dalle 17mila copie iniziali alle attuali 40mila. Siamo piccoli ma influenti. Ci leggono tutti i giornalisti, siamo ampiamente citati nei blog e in tv. Scriviamo per lettori intelligenti e coltivati».

Come il Foglio in Italia, insomma. «Ah, conosco Giuliano Ferrara e Christian Rocca, che copre l'America per loro. Sì, per quel che ne so il paragone è azzeccato. Noi però siamo anche molto radicati nella città di New York, abbiamo una cronaca locale di due pagine. Puntiamo parecchio su arte e cultura, cercando di offrire sempre critiche di alta qualità». In effetti, le pagine su libri, musica, musei e gastronomia del Sun sono universalmente apprezzate, al di là degli steccati politici. Nel giorno della nostra intervista, per esempio, la foto centrale in prima pagina riguardava la grande mostra di Egon Schiele aperta alla Neue Galerie, il sofisticato museo austrotedesco sulla Quinta Avenue, a metà strada fra il Metropolitan e il Guggenheim. E una redattrice letteraria del Sun, la validissima e italofona Rachel Donadio, è passata un anno fa all'inserto libri del New York Times. Difficile immaginare che accada una cosa del genere in Italia: un giornalista del Foglio assunto da Repubblica...

Per il resto, con il Times è guerra aperta. Ira Stoll si è fatto le ossa proprio criticando inesorabilmente il quotidiano più importante d'America con uno dei primi blog, che aveva battezzato "smartertimes" ("un Times più intelligente"). E anche oggi le punzecchiature sono la ragione di vivere giornaliera del Sun. Il quale ha al suo attivo pure degli scoop sull'Onu, dove il corrispondente fisso Benni Avni fa vedere i sorci verdi alla burocrazia interna sullo scandalo Oil-for-Food.

Partito con 15 milioni di dollari investiti da undici finanzieri guidati da Roger Hertog, Bruce Kovner, Conrad Black e Thomas Tisch (capo dell'impero Loews), il Sun non ha ancora raggiunto il pareggio. «C'eravamo dati 5-6 anni di tempo, siamo sulla buona strada», assicura Stoll. Il problema è soprattutto la pubblicità, che oggi rappresenta soltanto il 40 per cento delle entrate. La proporzione con gli introiti da edicola dovrà ribaltarsi, e l'advertisement raggiungere il 60%. Il giornale ha avuto bisogno di essere ricapitalizzato l'anno scorso con una sostanziosa iniezione di altri 40 milioni, per coprire le perdite che erano di un milione al mese.

Qualche azionista ha storto il naso, ma per molti di loro si tratta di un investimento politico a perdere. Hertog, per esempio, vicepresidente di Alliance Capital Management, è un grande finanziatore (in detrazione fiscale) dei due principali think tank neocon, il Manhattan Institute a New York e l'Aei (American Enterprise Institute) a Washington, oltre che dello Shalem Center in Israele. Kovner, presidente della Caxton Corporation, è anche presidente dell'Aei. L'alleanza fra i repubblicani di Wall Street e la destra intellettuale è suggellata dalla presenza prestigiosa, fra i columnist, di William Buckley, estroso liberista e libertario reaganiano della prima ora (vuole il libero mercato, ma anche la droga legale).

Il Sun non è l'unico quotidiano di destra a New York: c'è anche il tabloid New York Post, che il proprietario Rupert Murdoch svende a 25 cent. Tuttavia il prezzo sottocosto uguale a quello del Sun (il Times è a un dollaro, l'altro tabloid Daily News a 50 cent) rappresenta l'unico punto di contatto fra i due giornali, che hanno target opposti. Curiosa, piuttosto, l'abbondanza di quotati commentatori neocon (John Podhoretz, Amir Taheri) con cui il Post (700mila copie, come il Daily News) adorna le proprie pagine zeppe di gossip e cronaca nera. Sono firme che offrono ragionamenti complicati, più adatti all'élite del Sun che a proletari di recente immigrazione.

Metà dei lettori del Sun sono ebrei, anche se quelli newyorkesi sono tradizionalmente di sinistra: «Ricchi e liberal, vivono come episcopali ma votano come portoricani», scherza Stoll, «però fra i nostri giovani ormai si è persa la memoria e la gratitudine per il presidente democratico Roosevelt che sconfisse la Germania nazista». Fra una settimana New York vota per il sindaco, ed è scontata la vittoria del miliardario repubblicano ebreo Michael Bloomberg contro il democratico portoricano del Bronx Fernando Ferrer. Questa volta, contrariamente a quattro anni fa, anche il New York Times appoggia Bloomberg. Il quale ha comprato di tasca propria ben cento milioni di dollari di spot tv, battendo il record mondiale di 78 milioni stabilito nel 2001. Nessun singolo candidato nella storia ha mai speso così tanto per farsi eleggere. «E' un paradosso che la New York democratica voti sindaci e governatori repubblicani come Rockefeller, Bloomberg, Giuliani e Pataki», nota Stoll, «ma è anche vero che si tratta di repubblicani liberal, pro-scelta della donna sull'aborto e pro-gay».

Stoll, invece, su alcune questioni non transige. Il crimine, per esempio. I reati sono incredibilmente diminuiti, oggi New York è la città più sicura degli Stati Uniti, e il trend continua: «Merito delle carceri», sostiene sbrigativo il direttore del New York Sun, «ne abbiamo costruite molte e ci abbiamo messo tutti i delinquenti. Che quindi non possono più nuocere. Invece il New York Times sostiene l'esatto contrario: siccome il crimine diminuisce, dovremmo smettere di costruire prigioni». Anche sulla politica estera di Bush, nonostante il disastro in Iraq, Stoll tiene duro. Sospettiamo che potrebbe ammorbidirsi soltanto in un caso: che il detestato New York Times improvvisamente cominci ad appoggiare il presidente. Allora, forse, lui si metterebbe a sostenere il contrario del concorrente.

Barbara Ragazzon

Riviste Usa per trentenni

STELLE E STRISCE SONO COSI' DOLCEMENTE COMPLICATE

Target trentenni? Ufo, oggetti volanti non identificati

quotidiano PuntoCom, giovedi 27 ottobre 2005

Le più desiderate sono le donne trentenni. Belle, inquiete, danarose, spendaccione, imprevedibili. Sempre più difficili da attrarre, catturare, incasellare. Durante la loro American Magazines Conference che si è appena conclusa a Portorico, gli editori statunitensi si sono trovati d’accordo su poche cose. Una di queste, è che il target di gran lunga più seducente per i pubblicitari è quello delle “thirty-something”, dai trenta in su. Si è quindi aperta la lotta per raggiungerlo con settimanali e mensili. I “femminili”? Concetto passé: “Ora il mezzo più interessante per gli advertisers è il ‘celebazine’, ovvero il magazine sulla vita privata delle celebrities, arricchito con articoli di moda, attualità, costume, cucina, salute”, spiega Jeannie Pyun, già direttrice di ‘Organic Style’, appena chiuso dalle edizioni Rodale.

Il modello per tutti è ‘Us’ dell'editore Jann Wenner, il settimanale che ha avuto successo nel porsi a metà strada fra gli aborriti supermarket tabloids della American Media (‘National Enquirer’, ‘Star’, ‘Globe’), forti come tiratura ma deboli per appeal pubblicitario, e la corazzata ‘People’ del gruppo Time Warner, che nel 1974 cominciò la sua scalata verso gli attuali 3,8 milioni di copie. Ora la direttrice di ‘Us’, Janice Min, ha firmato un nuovo contratto da un milione di dollari per sviluppare - sempre per Wenner - un nuovo settimanale dedicato a donne “indaffarate”: troppo “busy” per sciupare tempo a interessarsi alla vita di altre donne, seppur vip, anche perchè dotate di una vita privata soddisfacente, che non necessita di compensazioni alienanti o di contemplazione onirica di vite altrui.

“Ma il problema vero è che non esiste più un tratto unificante, per le odierne trentenni”, avverte Sally Koslow, già direttrice dei mensili ‘Lifetime’ (gruppo Hearst) e McCall’s, “perchè ci sono le sposate e le single, quelle appena uscite dall’università e quelle con posizioni già importanti, le mamme arrivate al terzo figlio e quelle determinate ad aspettare i quarant’anni prima avere il primo... Sono i dieci anni d’età con le maggiori differenze al proprio interno”.

Il problema dei femminili è che invecchiano assieme alle loro lettrici. Perfino ‘Us’, le cui tirature stanno ancora aumentando, è già arrivato a un’età media di 31 anni, e in crescita. Pubblicazioni ormai sedute, come ‘Good Housekeeping’ o ‘Family Circle’, hanno lettrici fra i tardi anni quaranta e i primi cinquanta con figli ormai teenager, che decidono da soli i propri acquisti. Quanto di più lontano dalle preziose trentenni con tanti soldi da spendere e molte ragioni per farlo, perchè comprano sia per se stesse che per gli altri (figli, mariti, fidanzati). ‘Redbook’ viene spacciata ancora ai pubblicitari come “rivista per donne trentenni sposate”, ma è scivolata su un’età media di 43 anni. Per non parlare di ‘Glamour’, forse il caso più estremo di “slittamento di target”: destinato in teoria alle ventenni, finisce per essere letto dalle trentenni ancora interessate a farsi belle per conquistare un uomo.

Quindi, ecco il moltiplicarsi di nuove testate. Riviste di shopping come ‘Domino’, ‘Lucky’, ‘Shop Etc.’. Cure di ringiovanimento per classici come ‘Vogue’, ‘Elle’, ‘Marie Claire’, ‘Cosmopolitan’. E aggiustamenti per riviste di successo come ‘Oprah’ (Hearst) e ‘Real Simple’ (Time). Ma anche chiusure improvvise, come quelle dei mensili ‘Lifetime’ e ‘Organic Style’.

Ora Bauer Publishing, che edita ‘In Touch’, vivace concorrente di ‘Us’, prepara una nuova rivista con il magico mix cibo-moda-celebrità. Anche Martha Stewart, uscita di prigione, si sta lanciando nell’avventura. E Jane Pratt, dopo aver dato il proprio primo nome al mensile ‘Jane’, sta per fondarne un altro col secondo: ‘Elizabeth’. La regina del gossip Bonnie Fuller ha impreziosito ‘Star’, e ora pure lei sta sondando il terreno.

Due mesi fa Hearst ha lanciato ‘Quick and Simple’, con testi brevi e tanti consigli pratici sul modello internet. Questa settimana Rodale ha fatto partire ‘Woman’s Health’, che aveva come target le singles e che invece si ritrova a sorpresa molte lettrici sposate o fidanzate. A novembre Fairchild (gruppo Condè Nast) manda in edicola ‘Cookie’, per genitori ricchi che viaggiano, si arredano la casa e vestono bene: tiratura, 300mila copie. E Disney risponde da febbraio con ‘Wondertime’, anch’essa 300mila copie, meno shopping e più articoli sui figli piccoli, minori di sei anni: che si presume siano quelli delle coppie dei trentenni, ma che i cambiamenti demografici potrebbero rendere attraente per le quarantenni.

Barbara Ragazzon

Wednesday, October 19, 2005

Time Inc.

TIME, SONO TEMPI DURI PER I TROPPO BUONI

E' in crisi di vendite il glorioso settimanale, la maggior parte dei profitti vengono dal rotocalco di pettegolezzi 'People'

PuntoCom, 19 ottobre 2005 pag.4

John Huey, scorbutico 57enne di Atlanta, sarà dal primo gennaio il nuovo editor in chief di Time Inc., il più grande gruppo mondiale di periodici (edita 155 riviste). E' la sesta persona a ricoprire la carica dal 1923, anno di nascita del settimanale Time. E anche questa volta la successione arriva senza traumi e sorprese: l'ha accuratamente preparata il predecessore di Huey, il 63enne Norman Pearlstine (che in undici anni ha aumentato il fatturato del 76%, fino ai sei miliardi di dollari del 2005), scegliendo Huey come proprio vice nel 2001. In precedenza i due erano assieme al Wall Street Journal, poi Huey è stato nominato da Pearlstine alla guida del quindicinale Fortune, dov'è rimasto sei anni.

Il nuovo capo di Time Inc. dovrà affrontare il problema del glorioso newsmagazine omonimo, che pur rimanendo il primo settimanale degli Stati Uniti (e nel mondo, con le sue quattro edizioni internazionali: Europa, Asia, Canada e Australia) soffre per l'invecchiamento dei suoi lettori e il declino degli introiti pubblicitari. Solo 160 mila copie di Time vengono vendute in edicola: gli altri quattro milioni sono in abbonamento (negli Usa le poste funzionano), a tariffe promozionali stracciate. Cosicchè, quando il mercato pubblicitario declina - come negli ultimi mesi - il contraccolpo è immediato, non attutito dagli introiti dell'edicola.

Anche il concorrente Newsweek (tre milioni di copie) sta passando mesi non brilanti, senza riuscire ad approfittare dello sbandamento di Time. Il problema non è di linea politica; entrambi i settimanali sono di sinistra moderata. Sono le scelte editoriali a testimoniare la ricerca da parte dei newsmagazines di nuovi lettori, soprattutto nella fascia dei ventenni che snobbano la carta stampata per il web. Bizzarra, ad esempio, una delle ultime copertine di Time, dedicata ai "teenager gay". Pearlstine è stato criticato anche per la scelta di collaborare con l'inchiesta federale sulla soffiata del nome di un'agente Cia: contrariamente alla giornalista del New York Times Judith Miller che ha preferito affrontare la prigione con l'appoggio della propria testata, il reporter di Time Matthew Cooper è stato costretto a consegnare i propri documenti.

Soltanto pochi isolati separano a Manhattan il grattacielo Time al Rockefeller Center, sulla Sesta Avenue, dalle due nuove Torri gemelle di Columbus Circle che ospitano dall'anno scorso i nuovi uffici della capogruppo Time Warner. Time Inc. è la più piccola delle cinque divisioni del gigante da 42 miliardi di dollari guidato da Richard Parsons, il nero più potente d'America: le altre sono Aol (internet), Cnn (tv), Warner (cinema) e Warner Cable (tv via cavo). Ma la divisione stampa contribuisce comunque per il dieci per cento ai profitti di gruppo.

Time Inc. stampa anche libri, e con successo: nel 2004 ne ha piazzati ben 58 in classifica, di cui sedici al primo posto. Il bestseller è stato "America", del comico Jon Stewart. La perla fra le riviste è invece il settimanale di pettegolezzi People, che fattura 400 milioni di dollari annui vendendo tre milioni e mezzo di copie: 1,5 milioni in edicola e due in abbonamento. Le sue entrate pubblicitarie sono fantastiche, maggiori di Time, e rappresentano da sole il 15% dei profitti. People è da ben 14 anni in testa alla classifica della pubblicità negli Usa (al secondo posto c'è Sports Illustrated, sempre di Time Inc.), ma la qualità non ne soffre: tre giorni fa ha vinto il titolo annuale di migliore rivista Usa, "anticipando e ora guidando il boom del celebrity journalism, che sta assumendo contorni di espansione quasi imperiale", come recita la motivazione del premio. La direttrice di People Martha Nelson, 53 anni, ha rintuzzato la concorrenza del settimanale Us Weekly (di Jann Wenner, gruppo Rolling Stone), nato tre anni fa e arrivato a quasi due milioni di copie, ma senza sottrarne una a People. A questo punto, con gran scorno dei più sofisticati giornalisti di Time, sarà proprio la Nelson a diventare la vice di Huey.

Barbara Ragazzon

Friday, October 07, 2005

Dagospia 7 ottobre 2005

USA E RI-USA - MARK SELIGER E JED JOHNSON, COLPO GROSSO PER MARCO AUSENDA, RIZZOLI USA - FRANCESCO BELCARO, RE DELLE SERATE DI MANHATTAN (SPONSOR BIRRA PERONI) - ARRIVA LA MILANO DI FINAZZER FLORY - LA 'PAZZA NOTTE' DEL PIZZAIOLO VINCENZO PAZZILLI…

Barbara Ragazzon per Dagospia

1 - COLPO GROSSO PER MARCO AUSENDA, RIZZOLI USA
Mark Seliger, fotografo dei divi rock, ha scelto l'editore italiano per pubblicare 75 dei suoi famosi ritratti di celebrita', da Paul McCartney a Susan Sarandon, da Tom Wolfe a Lou Reed (che scrive l'introduzione). Seliger e' stato per dieci anni il fotografo principe della rivista Rolling Stone, prima di passare alla Conde' Nast. E proprio Vanity Fair Usa segnala il libro nel suo numero di ottobre, assieme all'altro avvenimento mondano-editoriale dell'autunno a Manhattan: la monumentale biografia illustrata di Jed Johnson, architetto delle star.

Le case di Mick Jagger e Jerry Hall, Richard Gere e Barbra Streisand sono state progettate e arredate da Johnson, prematuramente morto nel 1996 sul volo TWA di New York (la caduta di quell'aereo segno' la fine della compagnia aerea americana). Le sue gesta, dalla Factory di Andy Warhol fino alle foto inedite di Cecil Beaton e Francesco Scavullo, vengono ricordate da Pierre Berge' (Yves St.Laurent) e dal premio Pulitzer Paul Goldberger. Marco Ausenda, presidente di Rizzoli Usa, gongola e partecipera' alle presentazioni del volume con ricevimenti da Sotheby's il 18 ottobre e poi nel negozio di Donna Karan.

2 - FRANCESCO BELCARO, RE DELLE SERATE DI MANHATTAN
Il quotidiano 'New York Post' gli ha dedicato un articolo su due pagine: Francesco Belcaro, 26 anni, 'Market research analyst' per un'azienda italiana di moda, organizza alcuni fra i piu' bei parties privati della Grande Mela. Assieme all'ingegnere edile romano 32enne Francesco Mo' ha creato il club 'Made in Italy NYC', che quasi ogni settimana promuove una festa in un locale diverso. Gli americani accorrono a frotte, attratti dal binomio cibo-fashion tricolore. Quest'estate il principale problema delle serate en plein air su una chiatta ancorata alla riva del fiume Hudson e' che arrivava troppa gente. Gli inviti corrono per internet e lo sponsor Peroni offre birra a buon prezzo. Unici concorrenti: i francesi dei French Tuesdays, che due volte al mese organizzano parties superaffollati, anch'essi di moda fra i 20-30enni newyorkesi eurofili. Ma li' c'e' l'obbligo di giacca, mentre gli italiani sono piu' easy.

3 - ARRIVA LA MILANO DI FINAZZER FLORY
Massimiliano Finazzer Flory, saggista ed editorialista di Radio Sole 24 Ore, presenta l'11 ottobre all'Istituto di Cultura italiano di New York a Park Avenue il suo libro "Non solo luce: Milano, frammenti di notte urbana", scritto con Stefano Zecchi, Luca Ronconi, Guido Martinotti e monsignor Gianfranco Ravasi. Oltre a quella milanese guidata dal sindaco Gabriele Albertini, altre delegazioni italiane sono in arrivo a Manhattan per l'annuale parata di Columbus Day. E la sera dell'11 ottobre la Rai inaugura con una grande festa in terrazza la sua nuova sede, nel grattacielo piu' alto di Tribeca.

4 - LA 'PAZZA NOTTE' DI VINCENZO PAZZILLI
Uno chef italiano confeziona una delle migliori pizze d'America: Vincenzo Pazzilli, nel ristorante 'Pazza Notte' sulla Sesta Avenue di Manhattan, all'angolo con la 55esima Strada. Location strategica, perche' raccoglie i turisti dei vicini alberghi Michelangelo (frequentatissimo dagli italiani), Warwick, Hilton e Sheraton. Ma sono molti anche gli avventori locali, che dopo il lavoro affollano l'happy hour (due martini al prezzo di uno). Musica assordante, schermo tv gigante con le partite di football (americano), e' un buon modo per immergersi subito nell'atmosfera festaiola di New York

Dagospia 07 Ottobre 2005